Quando ero piccolo, fin dall’età di 5 anni, avevo sviluppato una dipendenza, e in particolare da videogiochi.
Mi ricordo ancora. Andavo a dormire e vedevo le immagini scorrermi davanti, al buio. Lo dicevo ai miei genitori “Non riesco a smettere di giocare, neanche se chiudo gli occhi”. E quando guardavo la console, ero disperato. Sapevo che l’avrei riaccesa, ancora e ancora, giorno dopo giorno, per tutto il resto della mia vita. Era fuori dal mio controllo, e si trattava di qualcosa di troppo grosso, per un bambino della mia età.
Loro tentarono di dissuadermi, più che altro mettendomi paura. Mi raccontarono una storia, di un bambino che ci era quasi uscito pazzo, e poi dovettero ricoprirgli la stanza di scritte “Game Over”. Inutile dire che con me non funzionò. Fu uno dei periodi peggiori della mia vita. Stavo male, dentro, ma non potevo parlarne con nessuno.
Quella storia stessa fu un trauma a sé stante…
Mi ricordo ancora l’esatto luogo in cui mi venne raccontata. Avevo paura di impazzire, o di essere già pazzo.
Il problema, invece, era che avevo sviluppato una semplice dipendenza.
Che cosa sono le dipendenze
Il mio rapporto morboso con i videogiochi andò avanti per molti anni. Ancora a 21, credo di non aver saltato mai nemmeno un giorno, non volontariamente almeno.
Noi tutti pensiamo che le dipendenze derivino da dei comportamenti viziosi e piacevoli, che ripetiamo in continuazione perché il piacere che ne deriva è più grande del disagio dovuto alla sensazione di “troppo”, di quando l’effetto positivo di ciò che facciamo passa. Videogiochi, caffeina, zuccheri, tabacco, droghe, sesso, pornografia, persino lamentarsi o arrabbiarsi o guardare la televisione o parlare male degli altri.
Ciò è vero soltanto in parte, in piccolissima parte. È stato infatti scoperto e dimostrato che le dipendenze sono qualcosa di molto più profondo, e allo stesso tempo molto più semplice. Sono dovute alla mancanza di connessione, di relazioni significative, di affetto, con gli altri esseri umani.
Chi è “vittima” di una dipendenza, in realtà, ha trovato in essa il suo migliore amico. E finalmente! Molto spesso le persone che hanno questi comportamenti sono così sole che continuare a fare e a ripetere ciò che sanno essere “sbagliato”, è talvolta quasi per loro la scelta più giusta. Non avrebbero idea di come uscirne, non tanto perché non vogliono uscirne, quanto perché questa condizione ha a che fare con il loro ambiente sociale, che è naturalmente qualcosa di molto più difficile da comprendere, e da controllare.
È stato studiato e dimostrato più volte, anche in laboratorio. Chi ha la possibilità di drogarsi, ma ha un ambiente sociale ricco e abbondante attorno a sé, non lo fa.
Il legame tra affetto e salute
Che cosa significa ciò? Non è come puoi pensare. Non basta avere “una vita sociale”, come la intendono alcuni. Anzi, molto spesso, il vero problema di tantissime persone è che sono tutte radunate insieme, e non si accorgono di essere da sole. Le dipendenze vengono utilizzate come surrogato della presenza di legami affettivi. Il che significa che trovarsi con gli amici a bere, a bere caffè, a fumare, a drogarsi, o perfino a giocare ai videogiochi o a guardare la tv insieme, non conta come “vera amicizia”.
Non conta come “vita sociale”. Niente affatto.
Ti sbalordirebbe sapere quante persone che credono di essere ben inserite nella società, sono invece assolutamente fuori bordo e in disperato bisogno di aiuto. La “dipendenza da caffeina” è stata tolta dai manuali di psichiatria, o meglio non è stata mai inserita, solo e soltanto per non dover diagnosticare il 95% della popolazione dello stesso disturbo.
Io stesso ho avuto modo, nella vita, di vivere periodi di vario tipo. Pochi amici e poco affetto, tante dipendenze. Tanti amici e poco affetto, tante dipendenze. Tanti amici e tanto affetto, poche dipendenze. Pochi amici e tanto affetto, poche dipendenze.
Quello che conta non è la quantità di “amici”, né nella vita reale né tantomeno sui social. Tanti sono ossessionati dall’avere una compagnia, dall’avere qualche amico stretto, dall’avere “qualcuno”.
Io personalmente, è più di un anno e mezzo che “non ho nessuno”. Sto bene con me stesso. E questo non vuol dire che sia un tizio solitario, non necessariamente. Ho conosciuto più persone nuove e stretto più legami significativi in questi ultimi mesi, che in tutto il resto dei miei ormai quasi 31 anni di vita. Alcuni mi hanno preso in giro per questa mia scelta. So che quando vivevo nella mia città, le voci giravano sul fatto che “non avessi amici”. Mi è sempre andata benissimo la mia reputazione.
Gli amici non mi sono mai serviti da “trofeo”, e nemmeno le donne.
Mi piace vedere le cose per come stanno. Quando sono con qualcuno, mi piace rimanere nel presente, riconoscere l’unicità del momento, la brevità della vita di entrambi. Mi piace portare affetto, abbracciare, prendermi cura, amare profondamente, ricordarmi di quella persona, tifare per lei. Tra 5 anni, dove saremo? E tra 20?
Questo, con chiunque incontri e scambi due chiacchiere. Mi ricordo sempre di tutti, di quando abbiamo parlato, di quello che ci siamo detti, di quello che abbiamo fatto. Non ha senso per me trovarsi per bere una birra, o per bere un caffè, o per mangiare una torta, o per fumare. Sono tutte attività che si possono anche fare, volendo. Ma non devono essere utilizzate per togliere la consapevolezza da noi, dagli esseri umani, dal momento in cui stiamo dimorando.
Il problema è appunto che la maggior parte delle volte, le persone si incontrano e fanno finta di non esistere. Si passa subito alla modalità “cerchiamo di fare quelli tranquilli, di essere normali, di adeguarci, di essere cool”. E l’universo, nel frattempo, ci balena attorno.
La vita ci passa davanti, e noi, non ci accorgiamo nemmeno di averla vissuta.
Il tuo destino è qui, sceglilo
Ho smesso di bere caffè definitivamente da un po’ di mesi. Ho smesso di bere alcolici, completamente, da 3 anni. Di fumare da 7. Mangio pochissimi zuccheri raffinati, e in questo periodo non ne sto proprio consumando.
Per tornare a quando ero piccolino ed ero dipendente dai videogiochi, beh, ogni tanto ci gioco ancora. Nel 2015 però smisi completamente, fino al 2018 circa. Persi l’interesse. Fu quando decisi di aprire questo sito. E quando ripresi, l’anno scorso, lo vidi solo e soltanto come un modo di connettermi con gli altri. Condividere esperienze, creare bei ricordi, assieme. Comprai un Nintendo Switch, nel 2019 a Osaka, e ci giocai un po’, ma poi regalai l’intera console con su un tot di giochi a una mia amica.
Giocare non mi interessa più come una volta. Non mi “chiama”. Posso giocare, così come posso non giocare, e essere sereno lo stesso.
Ciò che mi fece smettere definitivamente, fu realizzare quanto la mia vita sociale era danneggiata. Non per via dei videogiochi, ma piuttosto il contrario. Non avendoci mai lavorato su attivamente, non essendomi mai cercato di costruire vere amicizie, vere relazioni, mi ero dovuto per forza di cose rifugiare in qualcosa.
Sono stato fortunato. Sono stato anche un po’ forte. Mi sono insegnato da solo tante cose, che purtroppo dall’esterno non mi erano mai naturalmente arrivate. Fu come ricominciare a camminare, ma a 27 anni.
Funzionò.
Hug you tight…
Ad oggi, sono super felice di come vanno le cose nella mia vita. È vero che non ho praticamente “amici” nel senso comune del termine, e che sento soltanto un numero relativamente esiguo di persone, con regolarità. Detto questo, ogni nuova interazione è per me un luogo magico, speciale. Ognuno ha qualcosa da dare. Gli esseri umani sono così infiniti. E soprattutto, è possibile dare qualcosa a ognuno.
Prova anche tu. Abbraccia chi incontri per la prima volta, e anche ai tuoi amici o parenti, prova ad abbracciarli prima di tutto, ad abbracciarli tanto e ad abbracciarli spesso. Davvero, forse la miglior cura per tutti i mali del mondo, e per tutte le dipendenze, è proprio questa.
Un abbraccio.