Nel 2020, per la precisione il 19 Dicembre, ho “scoperto” di essere autistico. La prima cosa che ho fatto è stata dirlo a molte persone, praticamente a tutti. Sono consapevolte del fatto che questa non è necessariamente la miglior soluzione per chiunque, ma per me sono certo che lo sia.
In questo articolo voglio chiarire alcuni punti a proposito della questione. In particolare, utilizzeremo un formato “FAQ”, ovvero risponderò alle domande che più comunemente ho riscontrato dal 20 Dicembre fino ad ora.
D: Sei sicuro di essere autistico? Non devi prima parlare con qualche medico, per poterlo dire?
R: Sì, sono sicuro. No, non è “necessario” parlare con un medico prima di poter affermare qualcosa, soprattutto nel nostro che è un regime liberal-democratico. Detto questo, per avere una diagnosi ufficiale dovrò per forza di cose riferirmi a un professionista, questo è ovvio.
D: Secondo me allora non sei autistico, te ne sei soltanto convinto.
R: È per questo motivo che cercherò di ottenere una diagnosi ufficiale. Di sicuro non risolverà il problema del negazionismo a livello mondiale, ma se non altro mi darà un valido argomento per far procedere la conversazione al livello successivo. Molte persone non mi credono, infatti, e purtroppo è difficile continuare ad avere un rapporto normale con qualcuno che crede che tu ti inventi le cose perché “stai troppo su Google”.
D: Ok, ti credo. Sei contento adesso?
R: A costo di suonare pedante, non devi credermi per forza. L’unica cosa che ti chiedo è di non “non credermi”, il che vuol dire: non credere nel fatto che “Dylan non è autistico”. Avresti bisogno del responso ufficiale di un professionista anche in quel caso.
La mia ipotesi è che “sono autistico”. In quanto persona adulta intelligente mi piace raccontare ciò che penso senza dover per forza utlizzare il “secondo me” (come ti insegnano a scuola quando scrivi i temi). Se insieme a me ti va di considerare questa ipotesi con serietà, sono più che contento: sono felice. La compagnia mi piace molto.
D: Come fai a sapere che lo sei? Come fai a dirlo?
R: Mi sono informato “su Internet” (lo stesso posto da cui gli universitari ordinano i libri). In particolare, però, ho semplicemente avuto così tante esperienze interiori dopo aver realizzato di esserlo, che è praticamente diventato un fatto molto evidente per me e per chiunque mi ha conosciuto (sempre che abbiano voglia di informarsi a loro volta, raro ma possibile).
La chiave, come dicevo nel video di 2 ore su YouTube sulla cosa, è l’empatia. In particolare, mi sento vicino a chi soffre della stessa problematica. Ho pianto tanto per 2 giorni, soltanto immaginando tutte le sofferenze e le difficoltà che queste persone hanno dovuto vivere sulla loro pelle, per quello che non è nient’altro che un (seppur complicato) “mero” problema di comunicazione.
D: Secondo me non sei autistico, o comunque non è una forma grave.
R: Innanzitutto, me lo hai già detto. Seconda cosa, questa non è una domanda. Terzo, le definizioni di questa “sindrome” o “disturbo” sono cambiate molto, soprattutto negli ultimi anni. In particolare, è dal 2013 che il manuale di psichiatria non definisce più diverse forme di autismo, ma soltanto una (nomenclata A.S.D.), che va poi a racchiudere tutte le precedenti retroattivamente. In poche parole, non si riconosce più ufficialmente una forma “grave” da una forma “meno grave”, per numerosi motivi.
Nello specifico, ogni persona che “soffre” di A.S.D. viene considerata un caso a sé stante. Si parla quindi di spettro autistico, dove spettro sta a indicare che c’è una diversa distribuzione (non lineare) delle “disabilità”. Uso le virgolette perché non si tratta di qualcosa che si può, né che si deve, curare o guarire in nessun modo. Questo punto è essenziale e va specificato il più possibile. Semplicemente, le persone “affette” avranno bisogno di un certo grado di supporto, in quanto appunto “autistiche”. Poi, come tutte le creature del creato (anche quelle non affette), avranno bisogno non solo di supporto ma anche di affetto, appunto 😊

D: Allora perché dici che sei “autistico”? Non è un termine scorretto? Secondo me sei solo un po’ Asperger.
R: Come ho detto nella risposta precedente, non esistono “gradi” di gravità della “malattia”. Queste terminologie sono errate e purtroppo derivano dall’ignoranza (inevitabile, non tutti possono conoscere tutto), sull’argomento A.S.D. e autismo. La nomenclatura “sindrome di Asperger” non è più in uso dal 2013. La verità è che alcune persone preferiscono raccontare che “hanno l’Asperger” o che “sono poco gravi” altrimenti verrebbero stigmatizzate a livello sociale o escluse dal posto di lavoro. Questo è uno dei meccanismi di difesa che chiunque prima o poi si ritrova a dover attuare, pur di far parte di una società fondamentalmente ignorante che basa il suo concetto di “normalità” sullo stigma e sulla discriminazione nei confronti della salute mentale. Come? Non ci credi? Sei impazzito??? 🤐
Non esiste quindi dire che sono “solo un po’ Asperger”.
Il motivo per cui dico di “essere autistico” è semplice: è una preferenza personale. Secondo me, se non altro per ora, il termine aiuta a far capire meglio alle persone a proposito dell’A.S.D. e a scoraggiare le interpretazioni errate di cui sopra. Con il tempo, potrò voler adottare una diversa terminologia.
D: Non sono tutti autistici, allora?
R: No. Esattamente come non tutte le persone tristi sono depresse, non tutte le persone “strane” sono autistiche. È vero che ogni persona è intrinsecamente diversa da tutte le altre, ma non sempre ciò si configura in un quadro clinico ben preciso, nel nostro caso quello dello A.S.D.
Tieni conto che ci sono diversi modelli, quello medico e quello sociale etc. Il DSM non è una bibbia, è un manuale di riferimento per persone che hanno esperienza e competenza professionale.
D: Il mio cuggino mi ha detto che secondo lui non sei autistico.
R: Il tuo cuggino si sbaglia.
D: Il mio cuggino, che è un esperto, mi ha detto che secondo lui non sei autistico.
R: Il tuo cuggino, che è un esperto, si sbaglia.
D: Il mio cuggino, che è laureato in psichiatria e esercita la sua professione ufficialmente da diversi anni, mi ha detto che secondo lui non sei autistico.
R: Il tuo cuggino, in quanto psichiatra, sa meglio di me e te quanto le diagnosi non si possano effettuare in remoto ma solo in presenza. A quanto mi risulta, diagnosticare persone che non sono tuoi pazienti tramite video o “per sentito dire” è una pratica scorretta e illegale in diversi paesi (tra cui gli Stati Uniti). A meno che tuo cuggino non sia il MIO psichiatra, non può esprimere un parere tecnico ma soltanto personale. Questo pettegolezzo può rapidamente trasformarsi in abuso d’ufficio e diffamazione (entrambi reati), quindi come si dice in dialetto brianzolo “stag’atent, a stu mund in pusè i trapul che i rat!”
Tieni conto che, capita più spesso di quel che si pensi, anche l’opinione professionale di un medico può risultare errata dopo un riesame.
Ne approfitto per salutare tutti quei medici che si sono dati da fare nel diagnosticarmi via email, in questi anni (disturbo bipolare, schizofrenia, ne abbiamo di diverse forme e di diversi colori). Grazie per la vostra consulenza gratuita, e non richiesta, ma siete stati aggiunti alla mia cartella dello Spam.
Potete continuare a cercare i vostri clienti (ops, volevo dire: pazienti) da un’altra parte. Pax vobis.
D: Secondo me non dovresti dirlo in giro, né tantomeno cercare una diagnosi. Guarda che facendo così ti fai male.
R: Ancora una volta, questa non è una domanda ma un consiglio (non richiesto). Lo ricevo così di frequente che ci tengo a parlarne anche qui. Secondo me non solo faccio bene a dirlo in giro, ma soprattutto le persone in generale dovrebbero smetterla di aver paura della psichiatria e delle diagnosi. È vero che a volte gli umani commettono errori e ne pagano le conseguenze (da entrambe le parti), è anche vero che “grazie alla psichiatria” è possibile conoscere se stessi molto meglio. Mi dispiace raccontartelo, davvero, sarebbe molto più comodo presentarmi come un rivoluzionario antipsichiatrico che si scaglia contro “l’establishment” in toto (qualsiasi cosa esso sia).
Invece, purtroppo, devo qui riconoscere i meriti non solo di Carl G. Jung, di Viktor E. Frankl, ma anche di tutte quelle persone che ancora oggi lavorano in prima linea al servizio della salute mentale dei loro pazienti. Lo ripeto, è vero che a volte le persone sbagliano (e ci mancherebbe), ma è anche vero che odiare le categorie a prescindere non ti porterà mai da nessuna parte.
Sono convinto che l’ingiustizia e la corruzione dilaghino in molti settori e in molte professioni, come ad esempio il caso eclatante dei poliziotti assassini e razzisti negli Stati Uniti. Sono anche del parere, tuttavia, che crocifiggere tutta una categoria per i peccati di alcuni suoi membri non ti sia di aiuto nel tuo tentativo di distinguere accuratamente i particolari della realtà che ti circonda. In una parola: non ha senso odiare tutti i poliziotti solo perché alcuni sono effettivamente degli assassini, e allo stesso modo non ha senso aver paura di tutti gli psichiatri o tantomeno delle loro diagnosi.
Se tutta quanta la società ha un problema con lo stigma e con la discriminazione nei confronti della salute mentale, è tutta quanta la società a doverne rispondere. Questo mi sembra ovvio ma può non esserlo sempre per tutti o per tutte (io stesso ci sono arrivato tardi), e dunque ci tengo a ribardirlo anche qui.
Debbo ringraziare chi mi vuole proteggere “dal male”, quindi, e allo stesso tempo debbo rifiutare cordialmente i suoi consigli. Sono un adulto di 31 anni, viaggio per il mondo indipendentemente da 2, se mi farò male vorrà dire che dovrò essere abbastanza maturo da fare così: me ne prenderò la responsabilità.
D: Da quando me lo hai detto ti stai comportando in maniera più strana, non è che stai recitando una parte adesso? Ti piace far finta di essere autistico?
R: Grazie della domanda. La risposta è no. Primo, non sto recitando. Al contrario, nella vita ho sempre dovuto imparare a recitare la parte del “neurotipico” (nome che indica una persona non A.S.D.), ho praticato l’intelligenza emotiva e ho fatto anche diversi anni di terapia cognitivo comportamentale (CBT). Questo non ha niente a che fare con “chi sono io veramente”. Ciò che vedi e ciò che senti quando io sono con te è il mio “vero me”. Talvolta facciamo finta di essere chi non siamo per uniformarci con la società (in gergo, “mascheramento”) ma questo non significa che noi coincidiamo con il nostro mascheramento.
Al contrario, se mi vedi essere “più autistico” di prima, paradossalmente, vuol dire che sto “facendo finta” meno. Quello sono io! Se mi vuoi bene, continua a starmi vicino. Altrimenti, beh… Come mai sei ancora qui?
D: Adesso quindi dirai che “sei autistico” a ogni occasione? Lo userai come una carta “esco gratis di prigione”? Guarda che la vita è un’altra cosa Dylan, non basta mica un’etichetta per salvarti dai problemi.
R: Grazie di nuovo per la domanda e per l’interesse. È esattamente come dici tu, l’autismo non è certo una scusa per comportarsi a casaccio. È per questo che le persone si organizzano e cercano di studiarlo e conoscerlo meglio, per poi applicare ciò che hanno scoperto nella vita pratica con il fine di armonizzarla e di migliorarla.
Per fare questo è necessario un grande rispetto, che come in ogni altro ambito di indagine è un prerequisito indispensabile dello “studioso accademico”, assieme a fiducia nel metodo scientifico, umiltà, costanza, e determinazione nei confronti della ricerca dei risultati. Questo significa che non potrò, per forza di cose, abusare di questa etichetta per risolvere in maniera raffazzonata i miei problemi, anche perché mi sembra evidente per entrambi come questo porterebbe soltanto ad altri disagi.
Per questo motivo, ho intenzione come prima cosa di continuare a informarmi. Come seconda, di approfondire il mio rapporto con questo “disturbo”, fino a conoscerlo sempre meglio.
D: Ma quindi non puoi semplicemente stare zitto e tenertelo per te? Che bisogno c’è di andare in giro a raccontare che hai una diagnosi, scusa ma ancora non l’ho capito.
R: Vedi, come ti dicevo all’inizio potrei benissimo non dire niente a nessuno. Questa è una scelta personale che non necessariamente tutti devono condividere o seguire.
Nel mio caso specifico, per via di come gli eventi della mia vita si sono configurati, la presenza di questa “etichetta” (o diagnosi) rappresenta una vera e propria boccata d’aria fresca laddove prima invece l’ignoranza mi stava coprendo fino a soffocarmi. Da quando “ho scoperto di essere autistico” la mia vita si è immediatamente trasformata per il meglio. Mi sono reso conto di così tanti errori, di così tante incomprensioni, che è per me difficile raccontarti qui tutto senza scriverti almeno un libro sulla questione (siamo già a 2000 parole, oggi).
Per me, questa diagnosi rappresenta il più potente strumento di autoconoscimento, di sempre, in assoluto, che io abbia mai incontrato nella mia vita umana fisica. Forse anche molto più utile dei sogni lucidi o della meditazione.
È come avere, finalmente, un “manuale di utilizzo del proprio corpo umano e della propria coscienza”, che è una cosa che ho agognato da tantissimo tempo. Nella vita me lo aspettavo proprio, dalle persone, che mi spiegassero “come vivere”. E il sesso come funziona, scusate, e gli amici come si fanno, come si tengono, come si gestiscono. Mi sembrava tutto troppo complicato, soprattutto i rapporti umani. Credevo di essere davvero troppo strano, avevo una sensibilità particolare nei confronti delle mie percezioni che nessuno riusciva a spiegare con coerenza.
Alcuni mi consideravano un genio, altri un sociopatico. Alcune un pervertito, altre un gentiluomo. La verità è che ero tutte queste cose allo stesso tempo, e non ero nessuna. Pensavo di essere una persona rara che cercava di essere comune, e invece il 19 Dicembre del 2020 ho scoperto la cosa più importante di tutta la mia intera vita. Ho scoperto di essere unico. Clinicamente.