A una conferenza di un esorcista a cui assistemmo in quinta superiore, lui ci raccontò di come aveva salutato per sempre la sua famiglia prima di venire separato da loro a causa della guerra.
Era un giorno come tanti. Nessuno sapeva che cosa sarebbe successo poi. E quindi, ci disse, se ne andò di casa dicendo semplicemente “Ciao”. La cosa lo rattristò molto, negli anni, ma lo aiutò anche a capire una cosa molto profonda sull’esistenza e sulla vita. Innanzitutto, ogni istante può essere l’ultimo, dobbiamo viverlo quindi pienamente e senza darlo per scontato. Sto parlando di questo, in particolare! 🙂
E l’altra lezione qui è: possiamo riconoscere un addio soltanto in retrospettiva. È per questo che la parola “Addio” non viene quasi mai utilizzata.
Quest’anno ho appena portato a termine la sfida di creare almeno un contenuto e pubblicarlo su questo blog, per tutti e 366 giorni del 2020 (più gli ultimi del 2019). È arrivato, se non altro nell’interesse di questa challenge, il momento di salutarsi per l’ultima volta.
Scriverò quindi quest’ultimo articolo per raccontarti un po’ come mi sono sentito.
Innanzitutto, partiamo da come mi sento adesso: vuoto. Non “svuotato” nel senso di spossato, o in nessun senso negativo. Mi sento vuoto, cavo, come se non ci fosse nulla all’interno. La mia vita è sempre stata piuttosto difficile (come quella di tutti, sono convinto), ma quest’anno è stato per me uno dei migliori di sempre.
Questa è una cosa molto difficile da condividere per le altre persone, ho notato. Eppure, nel 2020 sono stato bene. Non tanto per via della crisi, quello ci mancherebbe, non sono sadico e mi è in realtà spiaciuto molto essere testimone di tutta questa sofferenza e distruzione. Sono stato bene con me stesso, personalmente.
Ti racconto qualcosa su di me.
Da quando avevo 18 anni circa, mi consideravo finito. A 19 mi sentivo peggio. A 20 volevo già morire, dentro. Pensavo che fosse normale sentirsi così, nella vita. Si nasce e si sta bene, poi si cresce e l’infanzia è il periodo migliore, poi c’è la dolce adolescenza e poi il lugubre futuro a cui nessuno vuole mai pensare. Il lavoro, le responsabilità, tutte quelle cose che più o meno chiunque fa finta di apprezzare, prima o poi.
E così, a 21 anni ho toccato il fondo, a 22 ho cominciato a scavare, a 23 ero completamente paralizzato. Ero morto dentro, clinicamente depresso, l’unica cosa che facevo era alzarmi dal letto il più tardi possibile e lamentarmi con mia madre della mia condizione fino alla sera. L’unico momento di sollievo era quello in cui mi addormentavo. Poi, ogni mattina, ricevevo lo shock della mia consapevolezza di essere ancora al mondo.
Tutto questo per un anno.
Nel Giugno del 2013 sono stato protetto da un amuleto giapponese e ho iniziato a guarire, che è un modo poetico di dire che ho iniziato a impegnarmi profondamente per dare una direzione specifica al corso dei miei eventi. Ho scoperto il sito https://alljapaneseallthetime.com e ho cominciato a imparare la lingua giapponese da autodidatta. Trovi il resto della storia nella mia pagina dei contatti.
Quest’anno, il 19 Dicembre 2020, ho iniziato a informarmi per caso sull’autismo e sulla sindrome di Asperger. Leggere a proposito di questo argomento mi ha provocato profondamente, numerose emozioni. Ho rivissuto tutta la mia vita, con occhi finalmente differenti, ma non diversi. In un certo senso, è come se li ho veramente aperti per la prima volta.
Mi sono accorto che tutte le ingiustizie che ho vissuto, assieme a chi mi circondava, erano effettivamente dovute a dei problemi di comunicazione. Tante persone nella mia vita si erano convinte che io avessi qualcosa che non andava, e fondamentalmente avevano ragione. Soltanto in parte, però. Non ero “pazzo”, come invece mi è stato detto troppe volte, non ero “un pericolo per me stesso e per gli altri”, non più di quanto lo sia una persona sullo spettro autistico. Avevo soltanto bisogno di qualcuno che mi sapesse ascoltare. Una cosa non facile, a quanto emerge.
Purtroppo, me ne sono accorto troppo tardi. Per questo motivo, ho dovuto vivere sulla mia pelle tutta una serie di “cure” e di “trattamenti” che mi hanno lentamente lavorato, dall’interno, scolpito e svuotato, come un pezzo di legno con uno scalpello. Per quasi 10 anni, farmaci inutili hanno rovinato inesorabilmente il mio cervello e sistema nervoso (ne porterò per sempre i segni). Nel 2017, sono stato torturato. Nel 2018, sono stato indotto al suicidio. Nel 2019, quando ho iniziato a viaggiare per il mondo, ero convinto di essere completamente morto dentro. Provavo tantissime emozioni, nel mio cuore. Ero triste, ero arrabbiato, ero frustrato. Fuori, non riuscivo più a esprimerle. Non riuscivo più a fidarmi delle persone.
Prova a immaginarti tu, la tua vita, così. Come ti sentiresti a venire trattato come Frankenstein per 10 anni? A venire sottoposto a trattamenti e operazioni di ogni tipo, perfettamente consapevole del fatto che il problema invece stava da un’altra parte?
Ti posso dire come mi sento io oggi: sereno.
Ti propongo questa citazione di Khalil Gibran, in lingua originale:
The deeper that sorrow carves into your being, the more joy you can contain.
Is not the cup that holds your wine the very cup that was burned in the potter’s oven?
And is not the lute that soothes your spirit, the very wood that was hollowed with knives?
When you are joyous, look deep into your heart and you shall find it is only that which has given you sorrow that is giving you joy.
When you are sorrowful look again in your heart, and you shall see that in truth you are weeping for that which has been your delight.
Questa è una mia traduzione:
Più in profondità la sofferenza scava nel tuo essere, più gioia esso può contentere.
Non è forse quella coppa che ora tiene il tuo vino, la stessa coppa che venne bruciata nel forno del vasaio?
E non è forse quel liuto che conforta ora il tuo spirito, lo stesso legno che allora fu scavato dai coltelli?
Quando sei gioiosa, guarda in profondità nel tuo cuore e troverai che è soltanto ciò che ti diede sofferenza, a darti ora gioia.
Quando sei sofferente guarda di nuovo nel tuo cuore, e vedrai che in verità tu ora stai piangendo per ciò che prima, fu tua delizia.
Per concludere questo discorso e questo anno, ti dico questo:
Nella vita ho scoperto come vivere, anche e soprattutto laddove essa mi ha trattato con più crudeltà. Ho scoperto che si vive sempre e soltanto nel presente, e che si dice addio in ogni attimo.