Avere successo è molto facile. Avere tutto, dico. Soldi, fama, qualsiasi altra cosa. Incluso l’amore eterno del mondo e qualsiasi cosa il tuo culo bianco ancora pensa sia la “next best thing” dopo tutto ciò che puoi comprare con il tuo portafoglio e il tuo matrimonio e il tuo corpo di polizia. O quello dei tuoi.
Ma in ogni caso.
Avere successo è molto facile. Molto. Facile. E se mi segui in questi ultimi anni o mesi ti sarai certamente accorta che io non sto avendo più successo. Tipo da un bel po’ oramai. E nonostante io pianga e batta i piedi e me la prenda con tutto e con tutti e spulci i libri in biblioteca per trovare una soluzione o un “come uscire”, la verità è che il problema sono io. Nel senso che non sto facendo il mio lavoro. Sto pigramente concentrandomi su tutto ciò che è brutto e cattivo e difficile e impossibile da risolvere e sto urlando “DOBBIAMO TUTTI GUARDARE QUELLO” e sto al massimo diventando un bravo megafono, acceso in una grotta in fondo al mare e per nessuno.
Come avere successo?
Se mi segui lo sai meglio di me da sempre che il modo di avere successo è creare tanto e sempre e costantemente. Un casino di output, un casino di input, un casino di segnale, che in questo modo copre un casino di rumore. Non puoi focalizzarti sul rimuovere i blocchi, ti asfaltano sennò. L’unica tua chance è di alzare il volume così tanto che le distrazioni non le senti più. Non nel senso di quanto pubblico hai, bada bene. Puoi rimanere, per dire, un megafono in fondo al mare persino. Eppure, se vibri abbastanza, ti sentono perfino in Giappone. Mi capisci.
E se non lo fai, puzzi. E questo ovviamente ti dà fastidio, ti butta giù, poi sei giù e ti passano sopra. E adesso fai parte anche tu del rumore inutile, sei anche tu un ostacolo. Accidentale, bada bene, non che tu voglia veramente dar fastidio, ma sei come un rifiuto, ti passano sopra, perché sei irrilevante. Non perché hai offerto qualcosa di brutto o di inutile necessariamente, ma perché la tua offerta non è sufficientemente “abbondante”.
Guarda il modello di Tiger, o di Starbucks. Se ti trovi in una qualsiasi città nel mondo, inclusa Bangkok, stai sicura che uno Starbucks lo trovi. Come mai? Perché ce n’è un fottio, come si dice (accento sulla i), e cioè ce n’è veramente tanti. Un botto, ecco. E tu neanche li vedi tutti, gli Starbucks. Ci sono persone in un hub da una parte del mondo, in questo momento, che tu neanche vedrai mai. E loro non vedranno mai il tuo. Io per dire sono in centro a Praga, adesso, e ce ne sono una decina soltanto nel giro di un paio di chilometri. Tiger è uguale, infiniti negozi, infiniti oggettini, è ovvio che prima o poi finisci per notarli.
Butta fuori e sbrana
Purtroppo, non c’è una soluzione veramente “sostenibile” alla sopravvivenza e al successo finanziario. Se vuoi mangiare, devi sbranare. La logica è la stessa. La sostenibilità è comunque intelligente, ma non farti fottere, usala come strumento di efficienza. Se vivi in maniera davvero sostenibile, ne guadagni in automatico per via del karma (o dell’entropia, se capisci la Fisica, che sono la stessa cosa per me), e quindi hai poi un prodotto migliore, un’offerta più forte. Però alla fine del giorno si traduce tutto nel fare e fare e fare e fare e fare e fare ancora. E deve essere consistente dal punto di vista dei volumi. Per questo, gli stimolanti aiutano, ovviamente, ma mai quanto la decisione fisica di “operare” sulla tua realtà un qualche tipo di massiccio intervento.
Per dire, quando scrivevo tutti i giorni avevo tante visualizzazioni ed ero bravo a scrivere. E queste due cose vanno assieme perché il mio cervello impara a scrivere, le persone mi leggono alla colazione al mattino, e a me piace migliorare e a loro piace l’ispirazione che io fornisco, ed è un buon business.
Adesso, non scrivo più tanto perché mi concentro sul fascismo, sul sistema finanziario e sul verticalismo e su come i soldi siano sempre violenza e su come scrivere qualsiasi cosa sia inutile perché tanto non c’è nessuna vera verità da trasmettere, e per quanto riguarda l’arte c’è sempre qualcun altro che ha fatto qualcosa, al giorno d’oggi persino i computer. Mi concentro sul fatto che sono un content creator per Internet, e Internet ha imparato a crearsi da solo da tempo. Però vedi, mi sbagliavo. Il fatto non è tanto che essere un creator è utile oppure no, il fatto è che tanto tempo fa mi piaceva, e poi è diventato obsoleto, e ho smesso di farlo. Quindi non ho smesso perché non mi piaceva. Ed è vero, è diventato orribile, ma in un certo senso quello non è un piano sul quale mi interessa più stare. Sto mandando fuori energie, vibrazioni, pensieri.
La cosa non è che Internet ha bisogno dei miei articoli, la cosa è che io ho bisogno di scriverli. Io sono Dylan ma soprattutto io emergo dai miei articoli perché in questa società io sono il mio lavoro. E quindi, secondo Marx ciò ha termine laddove i mezzi di produzione mi vengono confiscati (i server, che non possiedo). Però secondo me ciò non ha veramente importanza perché ho sublimato l’esigenza di una qualsivoglia forma di capitalismo o di consapevolezza dello stesso nel momento in cui, come tanto tempo fa, il polso non mi fa più male e io posso continuare semplicemente a digitare come un forsennato pensando, “questa stronzata mi porterà in Giappone”.
I problemi sono inevitabili
Ieri sera ho riguardato, dalla fotocamera, le foto del Giappone. Mi sono sentito come in un film, in un videogioco (Inscription, lo hai giocato?). Mi sono sentito il protagonista della mia vita. C’era il video in cui dicevo “ciao ragazzi questo è il mio corso sulle lingue”, la prima risorsa che abbia mai creato, e lo avevo fatto per via dell’estrema desperazione di essere a Varsavia con 50€ in totale che non potevo nemmeno prelevare. E il volo del giorno successivo verso Bangkok, ci volevo salire sopra.
Non è una questione di esagerare su ciò che è “giusto” o su ciò che “funziona”. È una questione di esagerare sul fare, sul buttare fuori, sul raccontare, sul dare lezioni, sul muoversi. E deve essere tutto fatto in modo che le tue limitazioni non ti fermino troppo, per esempio se ti fa male il polso non puoi scrivere, quindi smettila e non farti male. Da una parte si tratta di lasciarsi andare, dall’altra di accettare che fare schifo è inevitabile all’inizio. Quindi ci si tappa il naso e ci si mette a fare. Non ci si guarda, idealmente mai. Si fa, si butta fuori, si controlla che tutto sia più o meno leggibile. Non ci si gode mai niente, se non tutto. E poi, carissima, e poi è un altro giorno. Un altro pasto e un altro articolo.
Penso che i problemi siano inevitabili e che non si possano risolvere tutti. Anzi, quelli più importanti purtroppo, no. Si invecchia, e si diventa soli, e la morte è quella sensazione quando ti svegli alla mattina che semplicemente è tutto troppo rumoroso e incasinato. Diventa sempre più rumorosa, e tutto il resto svanisce. Non so che cosa accade dopo, non sono ancora un cadavere, ma il mio punto è questo. Finché quel rumore non ti ha ancora ingoiato, per dire se sei sveglia e mangi e sai leggere e comprendi queste parole è sufficiente, allora nel mio caso io ciò che faccio è buttare fuori. In qualche modo. O buttare dentro. So di essere un punto nello spazio, un corpo o qualcosa, e butto dentro e fuori e in virtù di quel passaggio, di quello scambio, io accresco e mi faccio accrescere. Prova anche tu. Così ho imparato il Giapponese, così ho fatto soldi, così sono diventato chi sono e anche ovviamente felice di essere chi sono.
Quando ho cercato di guardare, di capire, di spostare quel punto nel posto giusto, di scaldarmi con il fuoco prima di mettere la legna, beh, non ha funzionato. E bada bene, nulla è sprecato. Però non funziona che tipo tu devi capire tutto l’Inglese che ascolti prima che ti metti ad ascoltarlo o a fare Shadowing. Mi dispiace, vorrei anch’io come tutti continuare a pensare che “se solo tutti capissimo questa cosa allora sarebbe così tanto meraviglioso, così tanto guarda fammi spiegare…”
E invece vaffanculo.
La vita è cruda
La vita è grezza, ti graffia la faccia e letteralmente ti inghiotte, ti ammazza, ti strappa tutti gli arti e ti appende a sanguinare in Home Page. Ma poi ti rigenera. E ti invita di nuovo dentro, ti mette ai controlli del meccanismo di dilaniare gli altri, e tu vedi tutto da dietro, e dici “okay tanto poi li rigeneriamo”, e accendi la leva. In questo modo, diventi uno stronzo, un pezzo di cacca come direbbero i più educati, però solo da fuori, da dove stanno le anime torturate e non ancora benedette e purificate.
Perché da lì dove sei tu, invece, è tutto ovvio. E comunque alla fine poi tutto si rigenera, all’infinito. È per questo che mi invidi, perché io ero lì e adesso sono qui. Quindi non fare tante storie, anzi, beccati ancora più violenza, mi dispiace. E il senso è questo, che è anche e soprattutto per questo motivo, che la amiamo.